la vita

La vita di Salvatore Cambosu

Non voleva al mondo più posto di quanto ne spettasse ad alcun altro. Il lato più evidente della sua personalità era il più nascosto e c’era una soglia al di là della quale non passava nessuno. Anche con queste parole, Manlio Brigaglia ha voluto che ricordassimo uno dei più importanti intellettuali della Sardegna del dopoguerra.

Salvatore Cambosu nacque a Orotelli il 5 gennaio 1895, da Gavino (zio della Nobel Deledda) e Grazia Nieddu. Compiuti gli studi primari nel proprio paese, conseguì il diploma di maestro elementare e la maturità classica, frequentando poi, senza arrivare alla laurea, le università di Padova e Roma. Prima di trasferirsi a Cagliari insegnò in diverse scuole elementari del nuorese e, dal 1923 al 1926, ricoprì la carica di amministratore comunale di Orotelli.

Sul finire della seconda guerra mondiale assunse l’incarico di commissario prefettizio di Orotelli, Bolotana, Bitti e Orune e, nel 1958, si candidò, senza successo, alle elezioni col partito radicale. Due anni prima di spegnersi, ricevette, per mano dell’allora sindaco di Nuoro, una medaglia d’oro in riconoscimento degli alti meriti culturali dalla rivista “Ichnusa”, della quale fu assiduo collaboratore.

Il 21 novembre 1962, dopo una lunga degenza, morì nell’ospedale sanatoriale di Nuoro.

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Lo scrittore

La vita di Salvatore Cambosu scrittore

Si cimentò in tutti i campi della scrittura, dalla narrativa al giornalismo e, se numerose sono le pagine edite, non meno risultano essere quelle private, frutto di un impegno più che assiduo, come dimostrano i tanti quaderni che ha lasciato ai familiari, nei quali, con calligrafia minuta, annotava appunti su materiale di vita eterogeneo.

L’attività di pubblicista fu davvero intensa. Oltre ad aver scritto su “Ichnusa” di Antonio Pigliaru, “Omnibus”, “Il Ponte”, “Nord e Sud”, “Il tempo” e in altre riviste ancora, isolane e non, per quasi un trentennio collaborò con “L’Unione Sarda”. Sul quotidiano cagliaritano uscirono diversi reportage a suo nome (fra i quali ricordiamo in particolare Come il diavolo a Orgosolo si farà frate che, dedicato al banditismo, sarà pubblicato di spalla e in prima pagina, fra il febbraio e il marzo del ’54) e, oltre al romanzo Il carro, vennero diffusi molti dei racconti cambosiani (come Cardellino e il suo migliore amico, Il cinghialetto, Gli sposi alla festa, Il dono del calendario etc.) che, col tempo, diverranno celebri. Sempre sulle colonne de “L’Unione Sarda” nel Gazzetino delle lettere, rubrica settimanale dedicata ai libri, si occuperà di recensire testi talvolta non freschi di licenza, ma comunque efficaci nel comporre la ricca vetrina culturale che offriva ai lettori: dall’Isola dell’Angelo e altri racconti di Dessì al Diario di una maestrina della Giacobbe, da Saper leggere di Prezzolini a La lingua italiana d’oggi di Bruno Migliorini, solo per citarne alcuni.

Oltre a quelli usciti su “L’Unione”, numerosi sono i racconti, solitamente brevi, che egli pubblicò nelle diverse testate alle quali diede il proprio contributo, come, ad esempio, L’inferno è venuto dopo e i Cinque racconti usciti entrambi nel 1946 su “Il Politecnico” di Vittorini, piuttosto che La storia verdadera di donno Donato su “S’Ischiglia” nel 1952. Senza scordare Processo alla città, Il circo, Il grattacielo e La paura di Alessio, apparsi, fra il ’59 e il ’61, su “Il Mondo” di Pannunzio.

Nel contempo che l’attività pubblicistica prendeva corpo, si pubblicano anche le sue opere principali: a circa vent’anni di distanza da Lo zufolo, romanzo dal sapore magico-fiabesco edito da La festa nel 1932, escono, entrambi per i tipi della Vallecchi, il notissimo Miele amaro nel 1954 e Il supramonte di Orgosolo nel 1955. La ristampa di quest’ultimo, un’indagine dal taglio propriamente giornalistico sul banditismo, nel 1988 sarà promossa dalla stessa Amministrazione comunale di Orotelli.

Con l’inedito Una stagione a Orolai partecipò, nel 1954, al Premio letterario “Grazia Deledda”, ottenendo, da una giuria formata da Moretti, Ciusa Romagna, Casnati, Ravegnani e Cottone, solo una segnalazione che ne infranse le speranze di vedersi pubblicare dalla casa editrice Mondadori. Il romanzo verrà comunque licenziato nel 1957 dall’Istituto di Propaganda Libraria di Milano, e nel 1992 sarà raccolto insieme all’inedito Una stagione a Tharros, nel volume Due stagioni in Sardegna curato per Marietti da Bruno Rombi.

A distanza di anni dalla scomparsa, diversi studiosi e intellettuali in genere si occuparono di pubblicare alcuni inediti cambosiani e, al fine di tracciarne l’alto profilo intellettuale, rilessero criticamente la sua intera produzione. Uscì così nel 1984 Il meglio di Salvatore Cambosu, curato da Mimmo Bua e Giovanni Mameli, contemporaneamente alla raccolta dei Racconti, stampata dall’Istituto Superiore Etnografico Regionale di Nuoro, con la prefazione di Enea Gandini. Nel 1992 è invece il turno di Bruno Rombi che licenziò (a cura di Ugo Collu) un saggio, Salvatore Cambosu cantore solitario, con l’intento di far luce circa gli editi e inediti del nostro autore, seguiti da un’appendice di ricordi e testimonianze a lui dedicate. Nello stesso anno fu organizzato a Orotelli e Nuoro anche un Convegno Nazionale di Studi a suo nome, i cui Atti – Salvatore Cambosu tra due Sardegne – uscirono nel 1995 a cura di Ugo Collu; lo stesso Ugo Collu che nel 1999 firmò un volume nel quale si trovano raccolti insieme L’anno del campo selvatico e Il quaderno di don Demetrio Gunales. Del 1996 è invece l’edizione de I racconti curata da Paolo Maninchedda che meritoriamente agevola un raffronto fra i diversi generi della scrittura praticati, tutti ad altissimo livello, dal grande intellettuale.

Infine, esclusivamente della sua attività di collaboratore de “L’Unione Sarda”, si occupa il volume Cambosu giornalista che, curato da Eleonora Frongia con la prefazione di Gianni Filippini, va ad arricchire nel 2010 il già numeroso elenco dei titoli presenti ne La biblioteca dell’identità del quotidiano cagliaritano. L’edizione ha il merito di offrire un’antologia della produzione giornalistica, rimasta ingiustamente in ombra rispetto all’attività letteraria, contribuendo a un più articolato inserimento di Salvatore Cambosu nel panorama culturale non solo sardo.

Il giornalista

La vita di Salvatore Cambosu giornalista

distanza di tempo dall’ultima pubblicazione riguardante Salvatore Cambosu, “L’Unione Sarda” ha voluto commemorare il grande intellettuale di Orotelli, che scrisse sulle proprie colonne per quasi trent’anni. Nel 2010 è, infatti, uscito il volumeCambosu giornalista a cura di Eleonora Frongia, che, collocato nell’illustre collana La biblioteca dell’identità, raccoglie una serie di corrispondenze di carattere prettamente giornalistico (reportage, saggi, recensioni etc.) selezionate fra le tante che egli pubblicò, dal 1934 al 1961, sul quotidiano cagliaritano.

Un’iniziativa editoriale quantomai opportuna poiché dà risalto ad una produzione, quella pubblicistica, rimasta, malgrado le fosse contemporanea e sinergica, in ombra rispetto all’attività letteraria.

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Eppure – afferma Gianni Filippini, autore della prefazione al volume – “Salvatore Cambosu si sentiva un giornalista”, teneva al “tesserino di collaboratore dell’Unione” altrettanto quanto a quello “faticosamente conquistato” dell’Ordine dei giornalisti. E lo ricorda – lui che con Cambosu condivise la stessa “stanzetta” messa a disposizione da “L’Unione Sarda di quel tempo” che “contava pochi giornalisti ma ancor meno stanze” – sempre intento a limare, controllare, verificare in originale e in bozza i propri scritti più e più volte.

Un’abitudine, quest’ultima, poco in linea con i tempi stretti del giornalismo, così come poco in linea erano quei suoi titoli sempre troppo lunghi e articolati per una “tipografia che ancora faceva i conti con i caratteri a piombo”. Ed ecco allora che il “giovane cronista” Gianni Filippini, per evitare “rabbia e malumore” al “grande scrittore-pubblicista”, talvolta gli suggeriva, quelli che adesso definisce con pudore “titoli effimeri, ma che sopravvivono per essersi legati, nelle pagine di un quotidiano, a una prosa ancora oggi esemplare nella forma e nella sostanza”.

Lettera agli Orgolesi ne è esempio mirabile; un pezzo breve e intenso, scritto nel ’56, che non poteva mancare fra gli articoli selezionati da Eleonora Frongia. In esso egli si spende a favore de “Il Rastrello”, il periodico della scuola statale di Orgoloso, che rischia la chiusura per mancanza di fondi, rammentando ai maggiorenti del luogo che, secondo un antico adagio, la prima carità si fa in casa propria. La stessa militanza culturale la ritroviamo in numerosi articoli del volume, come Lettera ai ragazzi di Gavoi (incitati a rispettare le rovine del ponte di Gusana, un’antica opera d’arte stradale) e Lettera ai pastori (dove pur sentendo l’esigenza di difenderli dall’accusa di aver disboscato l’isola, non sottace il loro fallimento come primi custodi degli “angeli verdi”).

Di tutt’altro genere sono invece i pezzi di critica letteraria, i quali – da Il mondo poetico di Sebastiano Satta a L’opera di Grazia Deledda, dalle Poesie di Salvatore Quasimodo a I ragionamenti sulla poesia di Giuseppe Susini – concorrono a rivelare, nonostante il contesto rimanga prettamente giornalistico, il segno inconfondibile di Cambosu scrittore. Poiché – parafrasando Paolo Maninchedda – nulla meglio delle parole e delle immagini che lui utilizza per valutare l’opera altrui, permette di ricostruire la poetica cambosiana.

All’insegna di un lirismo profondo sono invece, le occasioni, tante davvero, in cui l’Autore dà corpo ai propri ricordi. Notevoli quelli che dedica, solo per citarne alcuni, a Papini, a Grazia Deledda, a Montanarupiuttosto che a Quasimodo, Dessì e Tolstoi, o anche a L’ultimo carradore che, seduto sul cocchio dorato di Sant’Efisio, avvia, armato del suo caratteristico pungolo multicolore, la celebre sagra del primo maggio.

Di tutt’altro genere sono invece i pezzi di critica letteraria, i quali – da Il mondo poetico di Sebastiano Satta a L’opera di Grazia Deledda, dalle Poesie di Salvatore Quasimodo a I ragionamenti sulla poesia di Giuseppe Susini – concorrono a rivelare, nonostante il contesto rimanga prettamente giornalistico, il segno inconfondibile di Cambosu scrittore. Poiché – parafrasando Paolo Maninchedda – nulla meglio delle parole e delle immagini che lui utilizza per valutare l’opera altrui, permette di ricostruire la poetica cambosiana.

All’insegna di un lirismo profondo sono invece, le occasioni, tante davvero, in cui l’Autore dà corpo ai propri ricordi. Notevoli quelli che dedica, solo per citarne alcuni, a Papini, a Grazia Deledda, a Montanarupiuttosto che a Quasimodo, Dessì e Tolstoi, o anche a L’ultimo carradore che, seduto sul cocchio dorato di Sant’Efisio, avvia, armato del suo caratteristico pungolo multicolore, la celebre sagra del primo maggio.

Sant’Efisio, San Costantino di Sedilo e ancora la Cavalcata Sarda e tutte le adunanze di popolo o le occasioni di festa e di aggregazione in genere trovano in lui un appassionato testimone, insieme ai canti che solitamente le accompagnano, come quello caratteristico del Pianto della Madonna che si ode durante le processioni della Settimana Santa e che lui riporta nel suo Omaggio a Murenu del 1956. Canti che fanno parte di “una civiltà che scompare, che è scomparsa – afferma quasi sottovoce lo stesso Salvatore Cambosu a “Radio Sardegna”, in una delle rare interviste conosciute – e su di essa – aggiunge – non c’è da piangere ma da trarne, chi ci è nato, il maggior numero di memorie”.

Tratto da: “Cambosu giornalista” , Cagliari, edizioni “L’Unione Sarda” in collaborazione con la Fondazione “Salvatore Cambosu”, 2010.

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